sabato 31 dicembre 2016

L'anno che verrà

L'anno che verrà: Analisi sociologica del fenomeno dell'immigrazione.



di Antonio Carannante

Questi giorni di attesa dell'anno nuovo mi hanno fatto venire in mente il titolo del brano del noto cantante Lucio Dalla "L'anno che verrà". Non intendo parlare dell'anno nuovo, però c'è tutta un'attesa di novità vere, non certo di quelle chiacchiere che i questi giorni ogni anno andiamo ripetendoci con asfissiante regolarità. Perché tanta attesa? Perché c'è tanta grassa abbondanza di segni dei tempi. Una volta era più difficile notare i segni dei tempi, ma oggi, dopo tanta inerzia, è come se i segni dei tempi si fossero accumulati e condensati. In un articolo giornalistico non sarebbe allora possibile parlare di tutto, ma concentrarsi in breve su un singolo fenomeno quale è quello della migrazione di massa sì. In primo luogo si smetta di paragonarlo all'emigrazione che ubbidiva  a particolareggiate necessità di importo di lavoro da parte del paese di immigrazione il quale disciplinava regolarmente l'afflusso e la sistemazione dei lavoratori stranieri. Infine non si accenni alla necessità di salvare gente in mare, perché questo è come avere l'arroganza di spiegare e risolvere un problema  partendo non dall'inizio ma guardando nel mezzo e "sparando sul mucchio" tra le cose da dire. 
L'infografica illustra le rotte dell'immigrazione
La verità è che c'è gente, troppa, la quale di sua spinte  prende l'iniziativa di partire da casa per quella che già subito è una vera e propria avventura di segno negativo. Infatti si tratta di viaggio di parecchie migliaia di chilometri, percorsi con mezzi di fortuna e pagando per di più persone che sarebbero sempre pronte a uccidere; tutto questo mentre il paese d'arrivo sappia niente e, dopo l'eventuale arrivo se morte non sia sopravvenuta, continua a sapere poco o niente di queste persone e per lungo termine. La parola "lavoro" come modalità di attrattiva è completamente sparita, mentre è apparsa come parola pressoché 
Uno dei modi entrare verso l'Italia e via mare.
obbligatoria,"accoglienza". Le classi dirigenti italiane non avrebbero bisogno di particolare ingegno per concordare con la presente analisi: sospetto che le classi dirigenti, mai come adesso così scollegate con la popolazione comune, sarebbero ben contente di un ricamnbio etnico anche parziale su territotio italiano, perché ciò sarebbe in linea con l'ubbidienza ai princìpi massonici secondo i quali bisognerebbe battere la tradizionale caratterialità degli Italiani notoriamente  intessuta di cattolicesimo!

sabato 24 dicembre 2016

Natale: Il Santo Natale significa l'incarnazione di Dio

di Antonio Carannante


Il Santo Natale significa l'incarnazione di Dio. A Pasqua ricordiamo il perché di questa Incarnazione,attraverso la Passione, Morte e Risurrezione di quel Dio fattosi uomo. Tutto questo noi lo sottolineiamo nella recita del Credo in tutte le Sante Messe festive. Nonostante la straordinarietà dell'Evento, la nostra mente umana riesce a comprendere attraverso una mirata e pervicace Evangelizzazione, dove magari percepisce la necessità dell'Evento per il bene dell'uomo.
Nel nostro Evento però, la vera difficoltà è altrove:noi non sappiamo adeguare la nostra prassi alla teoria che con tanta fatica abbiamo fatto aderire alla Verità. Il fatto è che la nostra natura umana pur tendente al suo fine proprio, che è appunto Colui che l'ha creata,è ferita e insufficiente ad adeguarsi alle conseguenze di vita rispetto alla retta credenza. Non è allora tanto difficile a capire che la nostra vera unica speranza è di chiedere proprio al Creatore quell'aiuto a ben operare nell'ortoprassi, e non pregare dio per propri benefici secondo le nostre vedute le quali già abbondantemente hanno dimostrato le proprie ristrettezze. Infine si tratta di evitare, con l'aiuto di Dio, che l'uomo diventi schizofrenico tra la buona credenza e la cattiva prassi, ciò che poi non sarebbe appunto nella sua natura umana. In conclusione è tutto relativamente facile a capirsi, ma non altrettanto nell'agire: vorrà dire che è lì  maggiormente richiesto l'ausilio di Coilui che tutto sa!  Attenzione allora alla superficialità del materialismo ed economicismo, così come è in Occidente, indegna dell'uomo!

lunedì 12 dicembre 2016


Giorgio Albertazzi

Attore di teatro e di chiarissima fama poteva recitare degnamente il teatro greco antico

di Antonio Carannante

Giorgio Albertazzi fu ufficiale nella Repubblica Sociale di Salò. La sinistra intellettuale italiana, mai tenera con chi la pensa diversamente da essa, operò un'eccezione pressocché unica nei confronti di Giorgio Albertazzi: non gli fece pesare il suo passato ma gli tributò anzi onori. Sono quasi trascinato a dire che la sinistra italiana fosse necessitata a fare così a causa della singolarissima e veramente unica personalità dell'artista. 
Giorgio Albertazzi
Ho citato apposta l'atteggiamento della sinistra italiana per offrire un indice che potesse incamminarci nella ricerca del livello di altezza di questo protagonista della cultura globale. In un mio precedente scritto ebbi a dire che solo un attore di teatro e di chiarissima fama poteva recitare degnamente il teatro greco antico il quale funge anche, a mio personale avviso, come il più alto metro di valutazione riguardo la profondità artistica dell'attore. Ci sono tanti altri attori che vivaddio erano in grado di calcare la scena di un'antica tragedia greca: ciò avveniva soprattutto quando Albertazzi era giovane; oggi molti artisti di allora sono morti o impossibilitati a recitare a causa dell'età.

Attualmente ricordo essere rimasto soltanto Umberto Orsini come ultimo dei maestri di teatro, come oggi si chiama una personalità da par suo. Per ciò che riguarda Albertazzi il punto è un'altro: non si tratta solo di recitare anche se al massimo livello possibile; altri hanno o avevano il pieno possesso della capacità tecnica, altri ancora hanno o avevano una caratterizzazione magarti troppo istrionesca. Ma allora quale è il senso equilibrato di investire la propria personalità nel teatro! Più che una professione tecnicamente ineccepibile, viene fuori adesso che è tutto l'essere globale dell'attore. che si stabilisce al centro non solo del personaggio da interpretare  ma anche dell'intera storia da rappresentare:siamo in un ambito pressocché mistico così come era mistica l'aura in cui nasce la tragedia greca appunto legata inizialmente al culto dionisiaco presentante ampi risvolti mistici. Ecco perché è proprio la tragedia greca il genuino banco di prova della valentìa dell'uomo di cultura e del suo grado di profondità. Paradossalmente il recitante sparisce nella propria dimensione di solo attore e riappare quale persona e personalità al centro del tutto e che riesce a dare il significato più vero e centrale a tutta la rappresentazione oltre che al proprio personaggio. Siamo a livelli così inconsueti per cui dovrebbe bastare la visione dell'interpretazione di quel tipo di attore per far dire agli spettatori che è stata per quella interpretazione che l'autore, andando noi a ritroso, avrebbe pensato e poi scritto quell'opera. In realtà accade propriamente così in tempi più vicini a noi quando ci si riferisce a qualche attore o attrice di tanto elevato spessore da far sì che l'autore vi adeguasse le proprie opere. Aggiungo che dire però questo in attinenza al rapporto tra attuale attore e antico autore greco  rasenta l'impossibile. E' a queste vette che siede la personalità di Giorgio  Albertazzi. In passato, quando Albertazzi era giovane ma già acclamato artista,solo un altro attore ho visto tenere il passo di Albertazzi: era Gianni Santuccio e che i
Gianni Santuccio
migliori attori definivano il Maestro dei maestri. Intervistato in una vecchia trasmissione televisiva, Gianni Santuccio disse che era proprio vero: l'attore teatrale  deve avere una sua "pazzia",tra virgolette, riferendosi a  quell'aura di misticismo che anch'io ho citato prima. In conseguenza di tali riflessioni mie su Giorgio Albertazzi, ieri ho deciso di offrire la mia intenzione di partecipazione alla S.Messa domenicale in suffragio della sua anima!